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Digitata manent: quanto conta l’italiano nella nostra “onlife”, secondo Vera Gheno

Non si può certo dire che Vera Gheno manchi di versatilità: sociolinguista, docente, traduttrice, membro della redazione di consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca, della quale gestisce anche il profilo Twitter, partecipa instancabile a numerosissimi eventi in tutta Italia per approfondire i temi legati alla lingua mediata dal computer e all’influenza dei social sulla nostra vita. Come se non bastasse, è anche autrice di due fortunati libri editi da Franco Cesati: Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi) (2016) e Social-Linguistica. Italiano e italiani dei social network (2017), due testi nati da esigenze diverse e ormai diventati imprescindibili per chiunque lavori con la lingua italiana nell’ecosistema iperconnesso di oggi… o semplicemente ami esprimersi con una buona dose di consapevolezza.

In questa intervista ci parla proprio delle sue due creature, che presenterà a TradPro – Una giornata di formazione e networking per traduttori e professionisti delle lingue, spiegandoci, con la consueta lucidità, quanto sia importante per noi traduttori conoscere a fondo l’italiano e usarlo come si deve, nel lavoro e nella nostra onlife.

Tutta la tua carriera ha al centro la lingua italiana e i suoi molteplici usi, dalle traduzioni letterarie alle sintesi di Twitter. Ci sveli come si è concretizzata l’idea di scrivere una Guida pratica all’italiano scritto e come hai affrontato questa tua prima esperienza da autrice?

Il libro nasce da una decina di anni di esperienza come docente di un laboratorio di italiano scritto per il corso di laurea di scienze umanistiche per la comunicazione all’università di Firenze. Non avevo, però, mai pensato di raccogliere i materiali del corso in alcun modo, se non fosse stato per la mia personale fata turchina: Silvia Columbano, allieva del mio corso molti anni addietro, diventata poi valente redattrice presso la casa editrice fiorentina Franco Cesati. È stata lei a contattarmi e a lanciare l’idea di pubblicare la Guida; io non ci ho messo molto ad accettare questa nuova sfida. E così è nato il mio primo libro, in cui ho condensato non solo quanto imparato dal confronto costante con generazioni di studenti, ma anche tutto quello che mi è passato sotto il naso gestendo il profilo Twitter dell’Accademia della Crusca in termini di convinzioni, stereotipi, fissazioni e bufale inerenti alla lingua.

La tua Guida ha una parentesi curiosa che recita Senza diventare grammarnazi. Puoi spiegarci chi sono i grammarnazi e perché è consigliabile non diventarlo?

I grammarnazi sono persone pedanti, che passano il tempo dando la caccia agli errori altrui, risultando in questo modo estremamente antipatiche. Normalmente non si tratta di soggetti con una conoscenza approfondita della lingua; piuttosto, si basano su nozioni scolastiche ormai “imbalsamate” (per esempio: “a me mi non si dice”; “le persone non si arrabbiano, quello lo fanno i cani. Le persone si adirano”), che non tengono conto della natura complessa e fluida della norma linguistica. In altre parole, la norma quasi mai è fatta di bianchi e di neri, ma molto più spesso è come una scala di infinite sfumature di grigio. Raramente si può dire che una cosa sia giusta o sbagliata, ma occorre invece considerarla assieme al suo contesto per capire se sia più o meno adatta a questo. Praticando la riflessione metacognitiva sulla lingua, si tende a comprendere meglio questa sua natura complessa, il suo essere un organismo vivo e mobile, e si passa dallo stadio di si dice/non si dice a quello di si dice in un certo caso/non si dice in un altro caso. Insomma: massima attenzione per l’uso della propria lingua, ma senza diventare maestrini rigidi e pedanti.

Secondo la tua esperienza, quanto coccoliamo la nostra lingua noi italiani e quanto, invece, la maltrattiamo? E pur essendone parlanti, la conosciamo davvero o per noi rimane ancora un mistero tutto da svelare?

La lingua ha alcuni scopi centrali: quello di descrivere con precisione la realtà che ci circonda e quello di supplire ai bisogni dei suoi parlanti. Come tutti i nativi di un certo idioma, anche noi italiani tendiamo a bistrattare la nostra lingua perché la diamo un po’ per scontata: in fondo, la parliamo sin dai primi anni della nostra vita… e invece è una competenza incredibile, quella del linguaggio: è anche una delle caratteristiche che più identificano il genere umano. Siamo gli unici animali sulla Terra in grado di usare un sistema di comunicazione così avanzato. È un peccato, quindi, usare la propria lingua madre in maniera sciatta e superficiale. Purtroppo, molto spesso è così. E gran parte di essa rimane, per la maggior parte dei parlanti, un vero mistero. Si pensi solo che una persona mediamente acculturata conosce qualche decina di migliaia di parole (ne usa attivamente molte meno), e che un dizionario come lo Zingarelli ne contiene circa 145.000, che tra l’altro sono solo una parte di tutto il lessico dell’italiano, che ammonta a diverse centinaia di migliaia di termini. Possiamo continuare a studiare la nostra lingua madre per tutta la vita, e comunque non arrivare mai a conoscerla interamente, anche solo a livello di lessico, dato che anche mentre la studiamo essa cambierà per adeguarsi ai nuovi bisogni dei suoi parlanti.

Il tuo secondo libro si intitola Social-linguistica. Italiano e italiani dei social media. Come e a che scopo è nato il desiderio di scrivere questo “diario di bordo” della tua esperienza sui social media?

Frequento la rete da vent’anni, social network compresi (in fondo, newsgroup e chatline non sono altro che dei proto-social, anche se all’epoca nessuno li chiamava ancora così). Stando da così tanto tempo in rete, ho avuto il privilegio di assistere a una serie di evoluzioni interessantissime: la popolarizzazione della comunicazione mediata, prima appannaggio di pochi fortunati che potevano permettersi un computer, la nascita di Facebook, i cambiamenti delle persone nella nuova società iperconnessa. Ho voluto scrivere Social-linguistica come ringraziamento, per condividere con altre persone le mie conoscenze, perché ritengo che alcune di queste possano essere utili a chiunque voglia utilizzare internet e i servizi resi disponibili da essa in maniera intelligente. I nativi cartacei spesso si sentono a disagio nello stare online, e quindi si privano di questa esperienza per paura di sbagliare, mentre i nativi digitali sovente non sono anche alfabetizzati digitali e commettono a loro volta un sacco di errori; io vorrei dare qualche dritta su come tutti possiamo vivere la nostra onlife, come la definisce Luciano Floridi, in maniera soddisfacente, sfatando anche tanti miti spaventosi che circondano il mondo della rete. Internet non fa affatto male, se usata bene. E tutti possiamo farci le competenze minime per poterla vivere in maniera costruttiva.Che nessuno si faccia spaventare dal titolo: è soprattutto un viaggio, a tratti divertente, tra i nostri tic linguistici e comunicativi in qualità di abitanti della rete.

Credi, come sostengono molti, che l’avvento dei social abbia semplicemente portato alla luce comportamenti e idee che prima rimanevano confinati nella stretta cerchia delle conoscenze, o che abbia realmente modificato il nostro modo di pensare, esprimerci e interagire?

Credo un po’ entrambe le cose. Sicuramente, se in rete esistono aggressività, discorsi di odio, bullismo, stalking e tutte le altre forme di comunicazione deragliata che vediamo quotidianamente, è perché ce le portiamo dietro dalla vita reale: non è che uno diventi xenofobo o misogino o violento magicamente davanti (o dietro) a uno schermo. Certo, è altrettanto vero che la mediatezza della comunicazione rende più complicate le cose. In parole povere, è senza dubbio più semplice odiare chi non vediamo in faccia, chi non abbiamo di fronte. Con l’effetto disinibente della rete occorre sicuramente fare i conti.

D’altro canto, la tecnologia ha cambiato il nostro modo di pensare, anzi, di conoscere la realtà. Che cosa comporta, in termini cognitivi, il fatto di avere virtualmente qualsiasi informazione a portata di mano, anzi, di click? Il problema non è più la reperibilità delle informazioni, quanto la voglia di fare quel click, e di farlo in modo ragionato. Una delle competenze che stanno diventando centrali in questi anni è quella di riuscire a riconoscere la validità di una fonte, di saper leggere i risultati che ci fornisce Google in maniera intelligente. Oggi leggiamo tanto, ma ipotesti (definizione di Elena Pistolesi) più che testi interi; scriviamo tanto, ma di nuovo soprattutto testi brevissimi, frammentari, piuttosto che testi lunghi; comunichiamo, anche, tanto – praticamente di continuo – ma sovente in maniera superficiale.

Ricordiamo una cosa, per me fondamentale: che la comunicazione “elettronica” debba per forza essere veloce e sciatta è un mito. Proprio perché si tratta in linea di massima di comunicazione scritta, in realtà nulla ci vieta di prenderci il tempo per rileggere quanto stiamo per pubblicare in rete. Ci possiamo permettere il lusso del minuto in più di riflessione su quello che abbiamo scritto, considerato anche che qualsiasi cosa immessa nella rete diventa difficilissima da eradicare. Mai come ora è vero che scripta manent. Anzi, digitata manent: un motivo valido per concedersi una velocissima rilettura.

Infine, proviamo a rubarti uno scoop: hai già in programma un terzo libro? O se mai dovessi metterlo in agenda, quale tema ti piacerebbe affrontare?

Al momento, sono impegnata in un progetto molto ambizioso con il mio “partner in crime” Bruno Mastroianni. Assieme a lui, reduce dalla stesura del volume “La disputa felice”stiamo lavorando sui temi dell’etica della comunicazione, che giudichiamo una delle questioni centrali di questi anni e degli anni a venire. I molti incontri che teniamo nelle scuole in giro per l’Italia ci stanno aiutando a capire la direzione nella quale andare con le nostre riflessioni.

Vera copiaSociolinguista specializzata in Comunicazione mediata dal computer, Vera Gheno svolge attività di docente universitaria ed è membro della redazione di consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca, ente per il quale gestisce anche il profilo Twitter. Traduce letteratura dall’ungherese all’italiano da più di quindici anni ed è autrice di due saggi di linguistica: Guida pratica all’italiano scritto (senza diventare grammarnazi) (2016) e Social-Linguistica. Italiano e italiani dei social network (2017), entrambi per Franco Cesati Editore.

Intervista: Francesca Manicardi e il suo Freelance Lab

Il bello di questo blog è che mi sta facendo scoprire delle realtà imprenditoriali che hanno voglia di farsi conoscere e di condividere il proprio sapere, perché dietro quelle realtà ci sono delle persone con una passione fortissima che li spinge a migliorarsi sempre. Francesca Manicardi è una di loro.

Questo mese sono felice di presentarvi un’altra traduttrice che ci racconterà la sua esperienza come freelance, un’esperienza che ha deciso di mettere a disposizione di chi è alle prime armi (e non solo) creando il Freelance Lab. Non vi resta che leggere tutta l’intervista per scoprire di cosa si tratta, e dico TUTTA perché in fondo c’è un regalino per voi.

Per chi si fosse perso la prima intervista di TRADZ, vi basta cliccare qui.

Buona lettura!

 

Francesca benvenuta su TRADZ e grazie per avermi concesso questa intervista, tengo molto a questi interventi perché uno degli obiettivi del mio blog è quello di creare un punto di incontro tra professionisti. Perciò come prima domanda ti chiedo di presentarti, per chi ancora non ti conoscesse: qual è stata la tua formazione, come sei diventata una traduttrice e in quali campi sei specializzata.

Ciao Alessandra, grazie per questa intervista! Eccomi qua: sono Francesca Manicardi, interprete e traduttrice, insegnante di lingue straniere, creatrice di contenuti e mentore per aspiranti freelance. Ho iniziato ad appassionarmi alle lingue alla materna, quando la mia scuola – forse una tra le prime in Italia alla fine degli anni ’80 – ha introdotto un percorso di avvicinamento all’inglese con una madrelingua. Ricordo che non capivo nulla, ma mi ha colpito subito quel modo “strano” di comunicare e ho iniziato a collezionare nella mia mente qualsiasi parola straniera trovavo in giro. Gli studi poi si sono focalizzati sempre lì, sulle lingue: bilinguismo alle medie, liceo classico con maxi sperimentazione linguistica, laurea triennale in Mediazione Linguistica e laurea specialistica in Interpretariato di Conferenza. Le mie lingue di lavoro sono l’inglese, il tedesco e il francese e mi sono specializzata in enogastronomia, arte e turismo, marketing, prodotti di bellezza e moda, brevetti.

Francesca-Manicardi

Leggo sul tuo sito, www.thefreelancelab.it, che lavori come freelance da quattro anni ormai, ma prima di aprire una tua partita IVA sei mai stata dipendente? Quali sono secondo te i vantaggi e gli svantaggi di lavorare in proprio e quindi quelli di lavorare in una azienda?

A un mese dalla laurea specialistica ho iniziato la mia prima attività da dipendente all’interno di una multinazionale: mi sono fatta abbindolare perché il mio lavoro prevedeva di usare le lingue che avevo studiato per anni, ma dovevo occuparmi della gestione dei reclami di garanzia, non esattamente il mio argomento preferito. Dopo qualche mese mi è stato offerto un impiego a tempo indeterminato e accecata dal miraggio di uno stipendio “sicuro” ho accettato un lavoro lontano da casa quanto bastava ad uscire la mattina e tornare la sera, noioso per quelle che sono le mie attitudine e con aspettative di viaggi lavorativi che non si sono mai realizzate. Ho ragionato spesso su quegli anni, chiedendomi se avevo fatto bene ad accettare quegli impieghi ritardando la mia entrata nel mondo della traduzione e dell’interpretariato da freelance, ma la risposta che mi sono data è: . Il lavoro dipendente e il lavoro da libera professionista sono due mondi molto lontani tra loro, ma entrambi possono insegnarti qualcosa di utile. Dalla mia esperienza a contratto ho imparato a redigere preventivi, a capire una fattura o una distinta di pagamento, a relazionarmi con i clienti (e con i colleghi), a organizzare il mio lavoro.

Scegliere una tipologia di lavoro rispetto ad un’altra credo sia molto soggettivo: non bisogna aprire partita iva perché “fa figo” se poi non si riesce a gestire l’instabilità che porta questo lavoro, così come non si deve scegliere un impiego dipendente solo perché così si ha la malattia pagata. Questa enorme lezione me l’ha insegnata una cavietta “diplomata” al Freelance Lab lo scorso dicembre. Durante l’ultima chiamata su Skype mi ha ringraziato per il percorso fatto insieme, ha speso bellissime parole per me e per il corso e poi… mi ha detto che proprio grazie al corso ha capito che la strada da freelance non fa per lei, ma che con le tecniche di approccio ai clienti che abbiamo visto insieme era riuscita a trovare un lavoro dipendente. Si potrebbe pensare che questa sia una sconfitta per il Freelance Lab, e invece credo proprio sia la conferma di quanto ci sia bisogno di un percorso così. Quando ho iniziato non avevo minimamente preso in considerazione un risvolto di questo tipo, ora la testimonianza di questa cavietta è uno slogan che utilizzerò per pubblicizzare il mio progetto.

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Più che parlare di vantaggi e svantaggi di lavorare in proprio o in azienda, secondo me è necessario tenere in considerazione alcune caratteristiche personali prima di fare la propria scelta. Per lavorare da freelance, soprattutto nel mondo della traduzione, bisogna non soffrire la solitudine e stare bene con se stessi, perché spesso si lavora da soli, in casa. È necessario essere – o diventare – molto organizzati per non accavallare i progetti e le scadenze, per non dimenticarsi di rispondere a un’email o per tenere monitorati i guadagni e le spese. Bisogna non andare nel panico o in ansia quando un cliente “buca” un pagamento – e ahimè, succede spesso –, oppure quando si attraversano periodi dove il lavoro latita. Occorre essere reattivi e risolvere i problemi che si presentano e sempre, sempre avere un piano B (ma anche C, D…).

Per lavorare in azienda bisogna essere bravi ad accettare “ordini” imposti dall’alto, trovarsi bene con gli orari e tempi di lavoro fissi, le ferie ad agosto e a Natale (nella maggior parte dei casi), non avere problemi a dividere un ufficio con altre persone.

Per come sono fatta io, nonostante le difficoltà che la vita da freelance presenta, non tornerei mai dietro a una scrivania da mattina a sera, dal lunedì al venerdì. Quello che mi piace dell’essere freelance e che per me è impagabile è la libertà: di scegliere con quali clienti e su quali progetti lavorare, di decidere quanto tempo dedicare al lavoro e quando partire per una vacanza, di restare in tuta e struccata a lavorare sul divano, di fare una pennichella a metà pomeriggio.

Ma veniamo ora al clou della questione: raccontaci cos’è il Freelance Lab e a chi è rivolto. Inoltre mi piacerebbe sapere come è nato questo progetto.

Il Freelance Lab è la scommessa più grande che ho fatto con me stessa e la cosa più bella che ho realizzato da quando ho aperto partita iva. Ho inventato qualcosa che non c’era (e ancora oggi non esiste nulla del genere in Italia): un percorso di mentoring per aspiranti freelance, ovvero una scuola online dove insegno le questioni pratiche della vita da liberi professionisti. L’idea è nata proprio ricordando le mie difficoltà quando ho iniziato: nessuno mai ti dice cosa serve davvero per lavorare come freelance, né tanto meno te lo insegna l’università. A suo tempo mi sono documentata tanto online, ma le risorse disponibili non parlavano mai di interpreti o traduttori. E sui forum dedicati al nostro settore non sempre c’erano le risposte di cui avevo bisogno. Così ho deciso di condividere quello che ho imparato sulla mia pelle, dai miei errori, con chi si avvicina al mondo freelance, partendo dalla mia esperienza.

In queste due edizioni del Freelance Lab hanno partecipato ragazze all’ultimo anno di università e neo laureate, ragazze con una formazione da traduttrici che hanno lavorato in altri settori, mamme e donne trasferite all’estero: tutte con la volontà di capire cosa c’è dietro all’apertura della partita iva e apprendere come gestire un lavoro da freelance. Questo non significa che il Freelance Lab sia riservato alle donne, anzi! È nato con l’idea di creare una maggiore solidarietà femminile che a volte è difficile da raggiungere, anche nel nostro settore, ma chiunque voglia aprire partita iva e lavorare come freelance, uomo o donna, è il benvenuto!

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Ci sono delle novità in arrivo per il Freelance Lab quest’anno? Raccontaci quali sono i tuoi progetti futuri.

Il Freelance Lab come è esistito fino a dicembre 2017 non ci sarà più perché troppo impegnativo per me e troppo costoso per le partecipanti. Però ho deciso di variare l’offerta in modo da soddisfare praticamente tutti i gusti! Ho creato il servizio di consulenza online SU SKYPE per chi ha bisogno di risolvere un dubbio o un problema specifico o per chi ha bisogno di un parere esterno su una questione lavorativa che sta affrontando. Si può acquistare un’ora singola oppure a pacchetti da 5 o 10 ore per chi invece vuole essere affiancato a lungo.

La novità più grande del Freelance Lab l’ho svelata lo scorso dicembre con il Calendario dell’Avvento riservato agli iscritti alla newsletter: il Freelance Lab IN AULA. Finora le “lezioni” sono sempre state online e in diretta e per quanto il rapporto con le caviette sia diventato presto molto stretto, ho voluto dare la possibilità a chi preferisce il contatto umano di venire in aula con me e conoscermi di persona. Le lezioni in aula saranno suddivise in tre venerdì consecutivi e si svolgeranno a Bologna. Il 6 aprile parleremo di regimi fiscali, business plan e tariffe, il 13 aprile di organizzazione, pianificazione e finanze
e il 20 aprile di clienti, marketing e branding. In più, ad affiancarmi in questa nuova avventura ci saranno due amiche: Carlotta Cabiati, commercialista, parlerà la prima giornata di corso dei regimi fiscali italiani e delle alternative alla partita iva, e Chiara Battaglioni, Professional Organizer ci aiuterà nella seconda giornata a fare ordine nella nostra vita lavorativa.

Entro la fine del mese di febbraio – spero! – inaugurerò il Freelance Lab IN VIDEO, l’equivalente delle dirette degli anni scorsi. Non mi sbilancio ancora nei dettagli di questo servizio perché sto definendo le ultime cose e poi… mi piace sorprendere, e voglio mantenere un po’ di suspance! Anticipo solo che sarà un’offerta ricchissima. Infine, ma non meno importante degli altri servizi, ci sarà la newsletter che cercherò di mandare regolarmente. Tramite l’invio delle email aggiornerò gli iscritti sulle novità del Freelance Lab, manderò qualche sconto e soprattutto condividerò esperienze, risorse e strumenti utili per una vita da freelance più semplice e felice. E per i nuovi iscritti c’è un regalo! [Quindi iscrivetevi :)]

L’ultima domanda la riservo sempre ai consigli per i meno esperti. Nel tuo caso ti chiedo quale consiglio daresti a un giovane traduttore o traduttrice che sta pensando di aprire partita IVA, quali sono i punti che devono considerare? Ovviamente poi si devono iscrivere al Lab per scoprire il resto!

Caro aspirante traduttore o traduttrice freelance, di consigli da dare ce ne sono tantissimi! Per cominciare ti consiglio di guardare il video del mio intervento al Freelance Camp di Roma dell’anno scorso, dove ho presentato il progetto del Freelance Lab e dove in dieci minuti spiego “i fondamentali” del lavoro freelance.

Nella mia personale classifica dei consigli più importanti però ci sono anche: assicurati di avere un’ottima preparazione linguistica e di traduzione, è alla base del tuo lavoro; sii curioso e non smettere di cercare, di imparare cose nuove; abbi ben chiaro il perché vuoi fare questo lavoro, ti servirà nei momenti duri; non demoralizzarti, tutti abbiamo alti e bassi; creati un “gruppo di supporto”, come agli alcolisti anonimi: qualcuno che faccia il tifo per te, ti tiri su di morale e ti dia un calcio nel sedere, all’occorrenza. Un po’ come facciamo al Freelance Lab ?

BY TRADDELI